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La grande barriera corallina australiana

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Hardy Reef on the Great Barrier Reef (Credit: Mike McCoy)

Agosto 2004, passavo di là per caso… anzi no!

Erano anni che sognavo di vedere la Great Barrier Reef australiana, un tempio per ogni acquariofilo del globo.

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Salpando dall’arcipelago delle Pentecoste, Whitsunday islands, così chiamato per il giorno in cui James Cook mise la prua dell’Endeavour in questo splendido lembo del Mar dei Coralli, si deve navigare per un paio d’ore prima di approdare ad una delle tre piattaforme che il Ministero dell’Ambiente ha progettato lungo gli oltre 1800 km di barriera.

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Una scelta intelligente; i turisti concentrati e controllati in pochi spazi, il resto off-limits. Un saggio compromesso tra l’esigenza di conservazione del più gigantesco ecosistema planetario e l’opportunità di godere comunque di una meraviglia patrimonio dell’umanità.

Si tratta di una sorta di isolotto artificiale; accogliente ed attrezzato per immersioni, per l’osservazione da vetrine subacquee e, addirittura, dotato di darsena per il gancio/sgancio d’un piccolo sommergibile quasi completamente trasparente.

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Un montacarichi permette l’accesso anche a chi, come me, viaggia in carrozzina.
Skip, il baffuto pilota del battello sottomarino, prima di sistemarmi sotto coperta, mi conduce ad un angolo non frequentato della piattaforma e, dal riparo della palafitta metallica, sbuca e si presenta George: uno splendido esemplare di Rhincodon typus che, detto così, suona strano, ma risulta di ben altro effetto parlando di uno Squalo balena lungo 9 metri.

Ormai di casa, sfoggia le sue maestose pinne in una breve e solenne nuotata.
E’ tempo che il sommergibile si stacchi dagli ormeggi.

Rhincodon Typus Wallpaper__yvt2

Il brusio diviene silenzio e la luce solare lascia spazio ai riverberi violacei dell’acqua.
Un breve tratto sopra un fondale sabbioso poi la magia.
Si spalancano canyon, anfratti, pinnacoli, guglie e distese di acropore e sclerattinie d’ogni sorta. Nelle zone più ombrose fiammeggiano nephteidae e gorgonie.
Pesci a migliaia; danzanti tra l’onda e la rocciata corallina.

 

Corallo di fuoco
Crinoidi sulle pareti incrostate di ogni colore. Barracuda e squali pinna bianca vagano senza destare troppa preoccupazione tra i carangidi; più tardi sarà un’altra storia.
Toh, Marco Aurelio… il mio amato Pomacanthus imperator! Sì, insomma… non proprio lui, ma la sua copia in scala gigante, almeno 35 cm!

pomacanthus imperator
Poi ancora, foreste di alcionacei in cui la zonazione acquista il senso vero, qui stanno i molli altrove i duri.
Quando il sottomarino prende una via più larga per evitare danni, gli abissi rapiscono l’attenzione. Sotto ai piedi il degradare del blu nell’oscurità. Dal nero, appaiono e scompaiono pesci pelagici che volano in compagnia di maestose Manta birostris.

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H2O: una sigla che contiene in sé bellezza, armonia, gratuità… indubbiamente gratuità: lo spettacolo della Natura va in scena anche in nostra assenza. I polipi della Xenia pulsano che li vediamo oppure no. Un palcoscenico in incessante animazione, aperto ad oltranza per qualcuno, nessuno, tutti, in ogni caso senza biglietto: il prezzo sarebbe impossibile da pagare.

Colpisce la riflessione che, pur passeggiando dentro un universo vivente, gran parte delle cose risultino invisibili agli occhi.

La vita si perpetua in ogni modo, ad ogni costo.

Per quanto tempo rimanemmo in quello stato di grazia? Direi per un periodo compreso tra il minuto e l’eternità!

Certamente ho visto tra i fortunati passeggeri lacrime di commozione e sguardi incantati.

Ed io? Io sono ancora là, anche se il vetro non è più quello del sommergibile, ma semplicemente quello del mio acquario marino.

acquario di Flavio Emer

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