Finalmente albeggia qui nel reef!
I coralli molli rialzano il corpo afflosciatosi nel riposo notturno ed i polipi multicolori di svariati antozoi fluttuano alla corrente divenuta vigorosa.
I minuscoli gasteropodi, stelle e fratelli echinodermi che, al buio, popolavano la rocciata scompaiono in pochi minuti, chi nella sabbia, chi negli anfratti più protetti e chi … beh… qualcuno non ce l’ha fatta: i predatori non dormono mai (e se dormono è di un sonno sempre troppo leggero per le prede).
Il riverbero della luce gioca sul fondale in uno sfarfallio abbacinante.
Il Calloplesiops altivelis pare non gradire; gira su se stesso e mostra la principesca coda da un nascondiglio in penombra.
I Centropyge sono già attivi nel loro frenetico andirivieni, mentre i Lysmata amboinensis si esibiscono in camminate rovesciate sotto il pelo dell’acqua.
Se c’è un tipo che sembra del tutto indifferente al ciclo notte – giorno è il Synchiropus splendidus; lui vive in un mondo tutto suo. Osserva il substrato, si blocca un attimo e … zak! Con una sorta di beccata afferra il boccone, lasciando poi uscire dalle branchie i detriti con uno sbuffo di polvere.
Dal balcone di una spugna Collospongia auris, il pigro Gobiodon okinawae studia la scena. Come se la vide brutta il povero pinnuto giallo quella volta che un grosso Pterois volitans lo risucchiò tra le fauci. Fortunatamente, come boccone non piacque, probabilmente a causa della bava che secerne nei momenti di stress; fatto sta che il biondo gobide venne sputato a velocità supersonica: sconvolto, ma sano e salvo.
La coppia di Amphiprion si rotola, incurante dell’universo circostante, tra le tentacolari praterie dell’Entacmaea quadricolor.
E’ piena luce da meno di un’ora e là fuori sono già passate figure di ogni sorta: affaccendate, curiose, attente, moleste.
Come quasi sempre accade, le buone notizie giungono dall’alto. Scendono fiocchi appetitosi. Lenti ondeggiano planando sul mondo sommerso.
Il giovane Pomacanthus imperator è sempre il più lesto ad avventarsi sul cibo. Ah, beata gioventù! Quanta energia in quel pesce angelo meno che adolescente, con i suoi bianchi anelli concentrici ancora chiusi. Un giorno nuoterà mascherato in nero bordato di blu elettrico: solenne, sontuoso. Nessuno, qui in giro, fingerà più di confonderlo col cugino Pomacanthus semicirculatus.
Vediamo un po’ di accontentare gli spettatori e di sfatare il pregiudizio che vuole i vermi sempre e comunque disgustosi.
Schiudo la chioma e sfoggio colori meravigliosi. Danzo nelle delicate correnti con l’ancoraggio sicuro nella sabbia.
Dicono che mi chiamo “Sabella spallanzanii”, in confidenza “Spirografo”; boh… come se la parola “verme” disturbasse i visitatori bipedi che ben poco sanno di ciò che stanno ammirando.
Gli umani pretenderebbero che la Natura esistesse in loro funzione: a loro gradita ed a loro adattata; quasi volessero negare che ne sono parte e non proprietari.
Così provano a cucire tutto sulla propria misura. Ciò che è troppo diverso deve essere reso gradevole secondo parametri completamente arbitrari. Sovente sentono, ma non ascoltano; guardano, ma non vedono e, soprattutto, ignorano che noi, al di qua del vetro, li osserviamo.
Ecco! Tranquillità finita!
Una strana nuvola si spalma sulla parete e gira, gira, insistendo su macchie arcigne. Quante volte accade questa cosa? Spesso! Troppo spesso!
Ogni volta che un lungo oggetto munito di una specie di chela da granchio entra qui per spostare, togliere, posizionare, un po’ di mare sbrodola fuori nel mondo asciutto… e torna la nube pulitrice.
Basta, mi ritiro nei miei appartamenti. Uno scatto fulmineo e rieccomi nel mio tubo.