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Attilio contro Eunice

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Oxydromus_pugettensis

Cala la sera sulla vasca dedicata alle sclerattinie. Come di consueto, ho trascorso qualche ora ad osservare, quasi potessi assistere alla crescita dei coralli in tempo reale.

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Mi distraggo con i biscotti danesi al burro; davanti al vetro è rimasto Attilio, il mio assistente amico. Per lui la pratica di beatificazione è già ben avviata… occuparsi di acquari con me è una sorta di permanenza al fronte costantemente in prima linea.

Una raffica di esclamazioni di stupore misto ad orrore m’interrompe lo spuntino.

Attilio mi scaraventa al cospetto del dsb e indica con il dito: “Guarda, il mostro di Loch Ness!”.

Aguzzo la vista e, tra le rocce, vedo strisciare una bestia immonda che non lascia presagire nulla di buono.

Scatta la procedura di emergenza e telefono a Mago Merlino (pseudonimo del mio specialista di fiducia).

Istruzioni brevi e perentorie: “E’ un verme Eunice. Sterminare! Non usare pinze; se si frammenta ne trovi due. Togli le pietre e colpisci!”.

Eunice_aphroditois

Ormai Attilio non è più collaborativo; detesta serpenti e tutto ciò che li ricorda. Crede che l’acquario sia un posto più insidioso della parete nord del K2. Da quando poi, mea maxima culpa, lo portai ad un raduno dove, tra le altre cose, si parlò anche di Palythoa e tossicità, infila le mani in acqua con lo stesso entusiasmo di Luigi XVI quando porse il collo alla ghigliottina.

Nulla da fare! Ogni minuto che passa, la descrizione di Eunice si arricchisce di raccapriccianti particolari, come nei racconti popolari o nelle leggende metropolitane.

Il povero verme, a meno di un’ora dall’avvistamento, è ormai divenuto una creatura mitologica, una sinistra divinità azteca!

“Aveva gli occhi di bragia; ali piumate; testa di giaguaro; sei zampe come il drago dell’Eni!”.

Provo a toccare le corde della passione per l’universo femminile: “Sai che il nome completo è Eunice aphroditois? Afrodite… la dea greca dell’amore…”.

Attilio sembra essere di marmo: muto, freddo, immobile.

Sparo l’ultima cartuccia: “Ok! Una taglia su Eunice. Prendi l’invertebrato vivo o morto e ti abbono per tre anni a Playboy!”.

Al rifiuto capisco che tutto sarà inutile. Lascio Attilio ai suoi incubi e chiamo un amico dal killer instinct ben più sviluppato.

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In un baleno le rocce sono fuori dall’acqua e, altrettanto rapidamente, il minaccioso predatore è trafitto con uno stuzzicadente samurai.

Sul fondo una voce ripete: “Era enorme; svariati metri; cingolato e corazzato; faceva la Haka… la bellicosa danza maori!”.

L’amico esecutore, come un sicario professionista, raccoglie le sue cose, si riveste e si dilegua nella notte.

Per maggior sicurezza, sarà bene costruire una trappola che catturi eventuali Eunice sopravvissuti.

Si divide una bottiglia di plastica e la parte dell’imboccatura viene infilata, al rovescio, nel contenitore cilindrico; una specie di nassa.

Si introduce un’esca (cozza o vongola) e si colloca il tranello nella vasca. Ci rimarrà tutta la notte. Non ho catturato nulla; potrebbe essere una buona notizia, ma la vera cosa bella è stato assistere al riscatto di Attilio.

Riavutosi dallo shock procurato dall’incontro ravvicinato del terzo tipo, si dedica alla realizzazione del marchingegno per l’agguato con mirabile impegno.

Ora la sua non è più un’opera da acquariofilo.

Egli è il capitano Achab nella sua personale sfida a Moby Dick.

Egli è Teseo pronto all’epica lotta col Minotauro.

Egli è Ulisse che architetta il cavallo di Troia da introdurre nel luogo nemico con l’inganno e spietata determinazione.

Dall’Eneide, libro II

PSM_V76_D412_Atlantic_palolo_worm_eunice_fucata“ … Tutti tacquero allora, attenti e fissi,
Muto tenendo nell’attesa il labbro.
Indi così, dall’alto seggio, Enea
A dire cominciò: – Tu vuoi, regina,
Che un dolore indicibile rinnovi
In questa notte placida narrando
Come il troiano sventurato regno,
E d’Ilio il fiore, i Greci abbian distrutto;
E quelle infelicissime vicende
Ch’io stesso vidi, e di che fui gran parte.

Chi, questo raccontando, sia soldato
Del duro Ulisse, o Dolopo, o Mirmidone
S’asterrebbe dal pianto? E già dal cielo
Scende l’umida notte e, declinando,
Al dolce sonno invitano le stelle.

Ma se tanta, o regina, è in te la brama
D’udir le nostre pene, e quella ancora
Che fu di Troia l’ultima sciagura,
Benché l’animo ancora a tal ricordo
Inorridisca, ed al pensier rifugga
Di tanto lutto, io pur dirò. Già stanchi,
E dal Fato respinti, i re dei greci,
Trascorsi ormai tant’anni, un gran cavallo
Simile a un monte eressero sul lido
Con l’aiuto di Pallade, e coi fianchi
Tutti intessuti di recisi abeti:
Finsero un voto pel ritorno, e tale
Se ne diffuse il grido. Uomini scelti
A sorte eletti poi nascostamente
Nel cieco ventre chiusero, e le vaste
Caverne e i fianchi empirono d’armati…”

[tutte le foto derivano da wikimedia commons]

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