Home ACQUARIO DOLCE Reportage 5° corso di Acquariologia – 18 novembre 2012

Reportage 5° corso di Acquariologia – 18 novembre 2012

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Quest’anno il 5° corso di Acquariologia si è tenuto presso la facoltà di Psicologia a Cesena. Il tutto iniziò nel 2003 quando a Cesenatico presso la facoltà di Medicina Veterinaria si tenne il 1° corso di Acquariologia organizzato dal corso di laurea in Acquacoltura e Ittiopatologia, fu’ il primo incontro a livello nazionale tra mondo accademico e mondo acquariologico.

Siamo entrati all’università dopo una breve attesa a cospetto di una lunga fila per la registrazione dei partecipanti per poi salire nella maestosa aula magna della facoltà e di lì a poco il dott. Mosconi, responsabile del corso di Acquariologia, ha ringraziato per la notevole partecipazione da parte degli acquariofili e dei semplici appassionati provenienti da tutta Italia per seguire il corso.

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La prima relazione del corso riguardante gli errori e le trascuratezze che dequalificano il punto vendita causando malessere ai pesci e perdite economiche è stata affidata ad uno dei padri fondatori dell’acquariologia a livello mondiale; il tedesco Heiko Bleher, il più grande ricercatore al mondo con oltre 6 mila specie di pesci identificati e registrati, conoscitore di ben 11 lingue.


In foto da sinistra Marco Donati Aquarist, Heiko Bleher e Mirko Bella.

Ha introdotto il suo argomento narrando che il nonno, nel lontano 1887, vedendo un pesce in una boccia disse che quello non poteva essere il suo habitat ideale in quanto “la natura non è così e il pesce sta indubbiamente soffrendo”. Nel tentativo di ricreare il giusto habitat fù il primo a mettere le piante acquatiche in acquario, visto il buon esito di questa esperienza agli inizi del ‘900 possedeva la più grande serra di piante acquatiche al mondo.

Tornando ad Heiko emerge subito con trasparenza il fatto che essendo uno scopritore, nutre il massimo interesse per quanto riguarda i biotopi e la realizzazione di questi. È contrariato dal fatto che nei punti vendita non si trovino vasche allestite con biotopi specifici, tutt’altro si tende a mischiare pesci provenienti da zone del mondo diverse, con specifiche e necessità altrettanto diverse.

Ha accennato anche al fatto che il mondo dell’acquariologia è in continua evoluzione sia a livello di accessoristica che di acquari eppure nei punti vendita manca la novità, difficilmente recandosi in negozio si trovano le ultime innovazioni del settore di cui magari se ne sta parlando già da tempo su internet. Continua dicendo che nei punti vendita vanno svolte giornate formative sia al personale tutto che nei confronti della clientela in modo da coinvolgerla, come ad esempio nell’allestimento di una vasca biotopo (tanto per cambiare).

Riguardo ai pesci ci ha consigliato di non mischiare mai animali selvatici con quelli d’allevamento in quanto essendo nati e allevati in ambienti totalmente differenti hanno sviluppato un differente sistema immunitario, essendo certamente portatori di virus e batteri potrebbero infettarsi tra di loro per poi ammalarsi.

Parlando dei Discus, il re degli acquari d’acqua dolce, narra che vengono spediti in tutto il mondo da esportatori tailandesi che un secondo prima di chiudere la busta aggiungono sale ed ormoni. Il pesce subirà un notevole stress tra la cattura, lo smistamento e il lungo viaggio che dovrà affrontare. Per questo una volta che i pesci arrivano in negozio è importantissimo rispettare il periodo di quarantena prima di destinarli alla vendita.

Ci ha raccontato di un suo amico, allevatore tedesco di discus, che ha deciso di aprire una serra per la quarantena distante diversi chilometri dal punto vendita, questo perché alcune patologie possono trasmettersi anche per via aerea. La quarantena dovrà durare almeno 21 giorni, il nonno di Heiko diceva che al pesce occorrono 7 giorni per ammalarsi, 7 giorni per curarsi e 7 giorni per mangiare.

Il secondo argomento del corso ha riguardato la conservazione delle piante acquatiche in vitro, a cura del dott. Davide Donati.

Dopo una breve ma curata introduzione riguardante appunto l’importanza delle piante nel nostro ecosistema si è parlato di riproduzione meristematica.

Questo tipo di riproduzione è fondamentale per ridurre il prelevamento delle piante acquatiche in natura, difatti basta una pianta in ottima forma per poter dare vita ad infiniti cloni. Proprio come avviene per la riproduzione asessuata dei nostri amati coralli in acquario, evitando così di intaccare ancor di più le barriere coralline già notevolmente devastate dall’uomo. Le piante acquatiche vengono continuamente estirpate in natura per finire negli acquari degli acquariofili di tutto il mondo, ma non tutte quelle presenti in natura riescono a soddisfare la richiesta di mercato rischiando così l’estinzione di quella determinata specie, per questo motivo il termine “clonazione” dovrebbe superare alcune barriere etiche e morali.

In riferimento al rapporto qualità/prezzo, al metodo di conservazione ed alla durata nel punto vendita la lancia è spezzata senza dubbio in favore delle piante conservate in vitro, il problema è farlo capire ai clienti.

Pro e contro dell’acquisto di piante conservate in vitro:

Fisicamente parlando una pianta in vasetto è costituita da una plantula, di cui una coppetta in vitro ne contiene almeno 3. Le piante in vasetto hanno sì una notevole esposizione ma per la loro conservazione è necessaria una struttura apposita, sia essa una fioriera o una batteria di acquari, le dimensioni saranno cospicue e la temperatura dell’acqua dovrà essere mantenuta sopra ai 20 gradi, comportando costi di gestione e manutenzione. Al contrario una piante in vitro richiede soltanto una base d’appoggio, temperatura ambiente ed è sufficiente la luce indiretta della stanza. Se ben conservate possono durare anche mesi avendo all’interno della coppetta una crescita minima, difficilmente si avranno gli stessi risultati su piante di gran lunga più sviluppate e mantenute in vasetto.

Un’altra differenza è che le coppette ove sono conservate queste piantule sono sterili contenendo solo pianta e substrato, quest’ultimo composto dal 40% d’acqua e gelatina agar agar, più vitamine, sali minerali e zuccheri; una volta estratta la pianta è sufficiente sciacquarla sotto acqua corrente e piantarla in acquario “fissandola” al fondo, non si avranno ne lumache, ne parassiti ne tantomeno alghe, esclusivamente la pianta scelta, notevole direi.

Terminata la relazione del dott. Donati finalmente si passò a qualcosa di pratico, l’allestimento in diretta di un acquario con la tecnica dell’aquascaping da parte del famoso aquascaper tedesco Oliver Knott.

L’allestimento è durato un’oretta e sono state impiegate circa 30kg di rocce ADA Drago Stone e 50/60kg del suo substrato realizzato in Giappone firmato appunto Oliver Knott; considerando che l’acquario sarà stato al massimo da 200 litri lordi, dopo l’allestimento ne saranno rimasti a dir tanto la metà per l’acqua, ma d’altronde sono acquari realizzati per il piacere dell’uomo, non hanno di certo lo scopo di ricreare l’habitat ideale per i pesci bensì paesaggi ad esempio di montagna con un notevole e piacevole risultato.

Per quanto riguarda l’avvio/maturazione della vasca è consigliabile utilizzare normale acqua di rubinetto in quanto i sali minerali in essa contenuti vengono assorbiti dal fondo arricchendolo, il quale nutrirà a sua volta le piante in maniera ottimale. Per le prime 3 settimane dall’avvio andrà cambiato il 30% d’acqua ogni 3 giorni, successivamente lo stesso cambio andrà fatto una volta a settimana.

Vedendo l’artista all’opera non ero l’unico in sala a commentare il fatto che continuava a buttar giù terra su terra, oltre a non so quante coppette contenenti le piante fornite da Anubias, uno dei maggiori sponsor del corso, allora mi sono permesso di fare due conti al volo; le rocce Drago Stone sono firmate ADA e su internet si trovano all’incirca a 8€/kg (x 30kg utilizzati), il substrato di Oliver Knott costa circa 40/50€ x 10 litri (x 5/6 sacchi utilizzati) e le cup di Anubias vengono circa 6€ cad. (ne ha usate una decina); ciò significa che per ottenere una layout del genere occorrono quasi 600€, il risultato tra qualche settimana sarà di certo meraviglioso ma quello che mi frena è il fatto che questo tipo di acquario ha una durata limitata rispetto agli altri. Ebbene sì, mentre ad esempio un acquario marino matura e si stabilizza dopo circa un anno (e intanto sarà “cresciuto molto rispetto al giorno dell’avvio”), un acquario del genere dopo un anno o poco più è già destinato a “collassare”. Il fondo avrà perso le sue proprietà nutritive e le piante raggiunto il loro massimo sviluppo tenderanno a decomporsi costringendo l’acquariofilo a ricominciare da capo. Non lo vedo un gran bell’investimento a meno che non si parli di un’esposizione in negozio o in un concorso che durerà al massimo una settimana, nella quale necessariamente si dovrà mostrare la vasca al top.

Le piante utilizzate nell’allestimento sono state la Marsilea hirsuta, una delle piante più semplici e da primo piano in quanto si sviluppa a tappeto, basta poggiare la pianta sul substrato e coprirla sempre con quest’ultimo per circa il 50% onde evitare che quando verrà inserita l’acqua in vasca si veda la piante distaccarsi la fondo per poi ritrovarsela a galla. È stata utilizzata anche dell’Eleocharis acicularis a metà vasca che permette di ricreare l’effetto “campo di calcio”, un simpatico fattore è che le radici di questa inacidiscono la zona del substrato dove si stanno sviluppando in modo da prevalere sulle radici delle piante circostanti, proprio come avviene con i coralli urticanti nelle nostre vasche marine.

Tra i fori delle rocce ha incastrato mini porzioni di Riccia fluitans che, posizionata sotto al cono della luce e con l’impianto di Co2 che verrà poi collegato alla vasca, tenderà a crescere in maniera esponenziale; essendo una pianta galleggiante onde evitare problemi di stabilità dovrà essere potata regolarmente.


Al centro Oliver Knott ed alla sua sinistra Marco Donati Aquarist con due colleghi

Anche in questo tipo di vasche, come per il marino, vale la regola che più luce si ha e meglio è.

Dopo la pausa pranzo di nuovo la parola ad Heiko Bleher che ha spiegato l’importanza della realizzazione di vasche biotopo.

Che cos’è un BIOTOPO? La parola biotopo deriva dal greco bios = vita o organismo + topos = luogo (luogo di vita). Il biotopo è un’area di limitate dimensioni di un ambiente dove vivono organismi animali e vegetali della stessa specie di specie diverse. Realizzare una vasca biotopo è sinonimo di riprodurre in acquario lo stesso habitat naturale di una determinata specie di pesci, sia esso un lago, una pozza d’acqua, o un fiume, andranno riprodotti i parametri dell’acqua come i valori, temperatura e movimento, l’intensità luminosa e il giusto ambiente con gli infiniti accessori ormai facilmente reperibili, ed inserire esclusivamente piante e pesci nativi del luogo.

Dopo Heiko Bleher è stato il turno del dott. Stefano Rivola, che con il suo Koi Italia vende circa 4 tonnellate di mangime per carpe koi all’anno, l’azienda è specializzata in importazione di carpe koi direttamente dal Giappone, offrono al mercato accessori per laghetti, oltre alla realizzazione degli stessi e di bio-piscine.

L’esportazione delle koi dal Giappone all’Inghilterra è iniziata negli anni ’70 di pari passo con l’invenzione del nylon, ideale appunto per il loro trasporto. La conseguenza dell’esportazione è stata la realizzazione di laghetti atti a contenerle, con uno sviluppo molto rapido di accessori e tecniche per mantenerle al meglio.

Negli anni ’80 e ’90 il koi-keeping si diffonde nel resto d’Europa sovrastando una buona parte del mercato dell’acquariologia (a parer mio dato da verificare), in Italia sta accadendo oggi ciò che è successo più di 30 anni fà al di là dei nostri confini.

Per laghetto naturalmente non vanno intese la solita buca fatta in giardino contenente acqua stagnante ne tantomeno la fontanella con 30 litri d’acqua, bensì si parla di almeno un migliaio di litri d’acqua.

Così come l’acquario, anche il laghetto richiede tempi di maturazione che vanno dalle 5 alle 6 settimane perché si attivi il ciclo dell’azoto, evitando spiacevoli sorprese per i poveri ospiti inseriti prima del tempo. La differenza con l’acquario, oltre naturalmente al volume d’acqua in questione, è la continua esposizione alle notevoli variazioni delle condizioni atmosferiche. Difatti se il laghetto viene avviato a fine estate le temperature dall’autunno alla primavera non saranno sufficienti per l’attivazione biologica del filtro.

Per quanto riguarda l’inserimento dei pesci, soprattutto nei primi mesi è bene andarci cauti monitorando periodicamente i parametri dell’acqua; l’ambientamento và fatto proprio come per i pesci d’acquario avendo le carpe una capacità di adattamento di circa 4° al giorno. Nel caso in cui si verifichi un picco di ammonio è bene sospendere fin da subito il cibo, le carpe infatti possono resistere anche un mese senza mangiare e se allevate in grandi spazi raggiungono i 90 cm (con un valore di mercato che oscilla tra i 9 e i 10 mila €) in meno di 5 anni, fino ad un massimo di circa 1 metro e 20.

In giro per il mondo, o meglio in qualche laghetto ben lontano da noi ci sono esemplari anche da un milione di euro, in Italia un esemplare del genere forse non c’è mai entrato, e per come siamo messi in questo periodo credo che queste super carpe dovranno attendere ancora un pochino prima di arrivare a noi.

L’ultimo argomento del corso è stato a cura del dott. Mosconi e riguardante le malattie dei pesci, come riconoscerle ed affrontarle. Mi è sembrata più una lezione di ittiopatologia universitaria che un’infarinata generale riguardo quello che comporta l’ammalarsi dei pesci e la loro cura ma questo a causa della mia minima conoscenza a riguardo. Per rendervi comunque l’idea allego di seguito una slide della spiegazione.

Concludo affermando che è stata una bellissima esperienza, molto formativa, ed era quello che desideravo. Il bello dell’acquariologia è che non si smette mai di imparare e solo i veri appassionati si distinguono andando avanti nello studio e nella ricerca delle possibili soluzioni ai problemi che emergono nelle vasche. Unico punto negativo del corso il fatto che non si sia menzionata affatto l’acquariologia marina, magari il prossimo anno! Comunque vada, ci saremo.

un saluto a tutti i lettori

Marco

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