Il metodo di ricerca potrà contare su sensori di osservazione posti a bordo di aeromobili e navi, i cui risultati andranno a creare un set di dati uniforme con informazioni su tutti i reef del globo.
Attualmente il team sta operando nei mari delle Hawaii per valutare le condizioni e le minacce apportate dagli agenti esterni all’ecosistema reef del posto; la prossima tappa porterà i ricercatori a studiare i fondali della Grande Barriera Corallina australiana.
Il metodo di ricerca prevede l’utilizzo di squadre su imbarcazioni con compiti diversificati che vanno dalla rilevazione della luce ambientale, della luce nell’acqua alle varie profondità fino alla misurazione delle attività di produzione e calcificazione dei coralli. Una squadra in immersione garantirà la ricognizione e la raccolta di informazioni direttamente dalla superficie del reef.
L’elemento di caratterizzazione rispetto alle tradizionali spedizioni scientifiche sarà pertanto nell’impiego di una squadra “airborne“, ovvero in volo, che potrà disporre di uno strumento di rilevamento innovativo denominato PRISM (acronimo per Portable Remote Imaging Spectrometer).
Il PRISM è in definitiva uno spettrometro, quindi uno strumento sviluppato su una tecnologia vecchia di decenni, ma che in questo caso è stato implementato con le ultime tecnologie, per permettere di captare la luce riflessa dal reef sottomarino e di analizzarla, prendendo in considerazione anche le più piccole sfumature cromatiche corrispondenti alle diverse lunghezza d’onda (o frequenze se vogliamo considerarne tale parametro) della luce per riportare in un database le caratteristiche della barriera scansionata. Qui di seguito potete vedere il principio di funzionamento dell’apparato, come spiegato nel sito del progetto CORAL.
Al termine della campagna 2016-2017 il team sarà in grado di computare i dati raccolti su ogni reef esaminato, catalogando le informazioni sulla quantità relativa di coralli, alghe e substrato sabbioso.
Con questo sistema di studio, dice Eric, sarà possibile avere un punto di vista completamente nuovo sull’ecosistema reef, per il quale fino ad oggi gli unici dati disponibili erano quelli classificati dagli appositi team attraverso le loro immersioni.
Eric ci tiene inoltre a ricordare perché i reef siano elementi fondamentali nell’equilibrio degli oceani e delle zone costiere ad essi prospicienti:
Non solo con la loro conformazione proteggono le coste dai danni provocati da onde e tempeste, formando spesso barriere sicure per il passaggio delle imbarcazioni, ma la loro ricchezza di vita costituisce per molte popolazioni una forma primaria di sostentamento con l’apporto di cibo o materiali di commercio. La loro innata bellezza risulta infine determinante nello sfruttamento turistico delle località ad essi collegate.
Oltre a questo non bisogna dimenticare l’importanza che un ecosistema con una tale biodiversità riveste nella ricerca scientifica, costituendo una fonte inesauribile di materiale di studio per l’industria biotecnologica.
Naturalmente, viste le già note criticità che questo tipo di sfruttamento (locale e non) apporta alla sopravvivenza dei reef, questi potrebbero non riuscire a fronteggiare l’impatto di un cambiamento climatico globale, specialmente per quanto riguarda le forme di vita coralliformi.
Segnali evidenti di allarme arrivano ormai quotidianamente.
E’ di qualche giorno fa la notizia di come un innalzamento anomalo delle temperature abbia portato allo sbiancamento progressivo di intere zone nella Great Barrier Reef della Lizard Island (Australia nord-orientale).
Temperature registrate oltre i 34°C nel mese di febbraio, quando le massime si attestano normalmente intorno ai 30°C, hanno portato interi banchi di coralli a fenomeni di sbiancamento che hanno coinvolto tanto coralli duri, quanto coralli molli e persino molti anemoni. Sebbene alcuni di questi non si possano ancora definire morti, il panorama appare purtroppo desolante, soprattutto perché al momento non vi sono metodi efficaci di contrasto al fenomeno.
Per chi volesse qualche informazione in più su questo evento segnalo il video seguente “Losing Nemo“, che riporta immagini del ricercatore Justin Marshall nello studio del reef sopra citato.
Questa la ragione principale per la quale è di fondamentale importanza capire come le alterazioni climatico-ambientali su scala mondiale possano interagire con gli ecosistemi marini.
Interessante in tale contesto anche il North Atlantic Aerosols and Marine Ecosystems Study (NAAMES), programma che già da due anni è impegnato in una ricerca per comprendere come la più grande fioritura di plancton del mondo abbia influenza diretta sulla formazione delle nubi e di conseguenza sul clima.
Insomma il progetto è certamente ambizioso e noi non possiamo far altro che apprezzare gli sforzi messi in atto in questo campo. Resta da vedere se le promesse fatte potranno essere portate a termine in un prossimo futuro.
Non so se essere rallegrato o rattristato dalla notizia.
Sono felice che un ente influente come la NASA si occupi dei reef, ma mi spaventa il fatto che se è intervenuta anche la NASA, la situazione è veramente preoccupante.