
Le barriere coralline sono le più grandi strutture biogeniche sulla Terra: raggiungono dimensioni di oltre 1000 km, formano aggregati di estrema biodiversità e forniscono numerose risorse ecosistemiche, comunitarie ed economiche.
I principali responsabili della struttura fisica delle barriere coralline sono i coralli duri ermatipici (quelli che contengono nei loro tessuti alghe unicellulari simbionti, le zooxanthelle), ma nonostante la loro abbondanza, le tecniche di difesa e predazione sono ancora poco conosciute.
A causa dello stress antropogenico e del cambiamento climatico globale, i coralli ermatipici stanno affrontando sfide come la perdita di zooxantelle, la competizione con le macroalghe e la potenziale perdita di capacità di produrre l’esoscheletro a causa dell’acidificazione degli oceani. Per tutti questi motivi, i coralli che costruiscono le barriere potrebbero dover contare ancora di più sui composti chimici che producono per sopravvivere in un mondo che cambia.
Le nematocisti
I coralli duri appartengono al phylum cnidaria, che comprende anche anemoni di mare, meduse e idrozoi. Nonostante la maggior parte di questi organismi siano sessili, sono degli attivi predatori che utilizzano, come mezzi principali per procurarsi il cibo, delle strutture chiamate nematocisti e un ampio armamentario chimico. Le nematocisti sono degli organi urticanti costituiti da una capsula e da un filamento, quando il tessuto viene stimolato, il filamento viene espulso attaccandosi alla preda o al predatore, e secernendo il veleno contenuto nel filamento stesso.
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Dal punto di vista chimico, inoltre, utilizzano una serie di composti che possono avere varie funzioni, dalla digestione delle sostanze nutritive alla difesa contro i predatori. Attualmente sono molto conosciuti i composti prodotti da 2 gruppi di cnidari e cioè gli anemoni ed i coralli molli come le gorgonie.
L’arsenale biochimico dei coralli duri
Al contrario, l’arsenale biochimico dei coralli duri è ancora poco studiato probabilmente a causa della apparente scarsità di sostanze o della difficoltà di ottenere biomassa sufficiente per questo tipo di analisi. In un articolo recentemente pubblicato su Nature vengono studiate alcune famiglie di coralli duri e ne viene descritta la quantità di nematocisti e la concentrazione di composti emolitici (veleno) nei tessuti.
Le analisi eseguite hanno evidenziato che la famiglia delle Pocilloporidae è la vincitrice indiscussa, in particolare il genere Pocillopora e Stylophora.
Al secondo posto la famiglia delle Acroporidae con il genere Acropora e Montipora.
Al terzo posto si sono classificate le famiglie delle Favidae con il genere Favia e delle Milleporidae con il genere Millepora.
Nematocisti come difesa e predazione ma non come metodo per attaccare
I ricercatori hanno sottolineato che sia la presenza di nematocisti, che la concentrazione di composti emolitici, possa essere utilizzata dall’animale come difesa e come metodo di predazione e digestione delle prede. E’ invece più difficile che vengano utilizzate per la competizione territoriale.
Infatti sia Stylophora che Pocillopora, i coralli con la più alta attività emolitica e densità di nematocisti, sono considerati meno aggressivi di Favia quando competono per lo spazio nei reef.
Un altro fattore da considerare è che di solito i polipi delle Acroporidae e Pocilloporidae sono estroflessi per la maggior parte del tempo, essendo cosi un bersaglio più facile per i predatori. Le Favidae invece, estroflettono i polipi specialmente durante la notte, quando la presenza di predatori è minore, permettendo quindi una maggiore attività volta al predominio territoriale.
Una considerazione importante da fare è che la produzione e l’utilizzo di sostanze chimiche offensive e difensive da parte dei coralli è un tratto dinamico che può variare sia in specie diverse che all’interno della stessa specie. Infatti esemplari di Stylophora cresciuti in acque controllate e quindi senza predatori, hanno mostrato una diminuzione in entrambi i tratti analizzati nello studio rispetto a colonie selvatiche. Queste osservazioni indicano che lo studio dell’arsenale biochimico dei coralli duri può aiutare a capire non solo la fisiologia e l’ecologia di questi animali ma anche lo stato di salute delle barriere coralline.
VIA Nature https://www.nature.com/articles/s41598-017-18355-1