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Pesci e cianuro, confutato il metodo di analisi HPLC. Cosa c’è all’orizzonte?

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Un pescatore delle Filippine durante una sessione di pesca col cianuro. Image Credit: Howard Hall / SeaPics.com
Un pescatore delle Filippine durante una sessione di pesca col cianuro. Image Credit: Howard Hall / SeaPics.com

Che la pesca con il cianuro fosse una delle principali problematiche che ruotano attorno alla compravendita di pesci tropicali per i nostri acquari era un fatto ben noto.

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Spesso in passato abbiamo avuto modo di parlare in maniera esaustiva dell’argomento, dando segnali di allarme, ma al contempo lasciando aperta qualche porta ad una risoluzione positiva della questione.

Purtroppo gli sviluppi recenti non sono davvero incoraggianti e dobbiamo ancora una volta soffermarci per fare un piccolo punto di situazione.

L’esempio delle Filippine

Siamo in Indonesia, nelle Filippine, uno dei maggiori esportatori di animali, pesci e coralli di tutto il mondo.

Fonti del National Geographic hanno stimato che durante gli ultimi 50 anni, nella cattura dei pesci destinati al mercato acquariofilo, siano stati usati illegalmente e quindi riversati in mare a diretto contatto con i reef, almeno 2,2 milioni di libbre di cianuro (circa 1 milione di kg).

Questo è già di per sé preoccupante se si pensa al grandissimo impatto che tale sostanza ha con l’ambiente circostante.

La cosa non interessa soltanto i pesci direttamente coinvolti con la cattura, ma anche quelle zone del reef dove estensiva è stata la predazione con tale sistema. Qui è altissima la mortalità degli altri pesci che sono venuti a contatto con la sostanza, così come dei coralli, invertebrati, nudibranchi, stelle marine, lumache e granchi. Insomma di questa feroce e indiscriminata pratica risente tutta la vita esistente nel reef, che già è messo seriamente a rischio estinzione dagli altri fattori ambientali come l’inquinamento e l’innalzamento delle temperature marine.

Per quanto riguarda la sorte del povero animale, purtroppo è ben nota. Pochissimi esemplari riescono a sopravvivere al trattamento, nella migliore delle ipotesi prolungando la loro agonia per qualche settimana, a volte il tempo necessario per affrontare il viaggio di trasporto e arrivare nelle vasche dei negozianti o in quelle del malcapitato compratore.

Il fatto poi che il cianuro non sia rilevabile e che non esista un metodo di analisi economico e pratico in grado di verificare il suo eventuale utilizzo nella cattura dei pesci, ha fatto sì che risultasse difficile per i governi interessati procedere con le attività di controllo e sanzione nei confronti di coloro che per decenni hanno basato il loro commercio su tale pratica.

E mentre il governo delle Filippine, tramite il suo “Bureau of Fisheries and Aquatic Resources” sembra aver preso di petto il problema ottenendo in alcuni casi il blocco degli animali, e provvedendo anche ad azioni legali mirate ai trasgressori, lo stesso non si può dire per il resto dell’Indonesia, da cui provengono almeno l’80% degli animali destinati al mercato statunitense.

Il governo delle Filippine si sta impegnando per contrastare la pratica della pesca con il cianuro. La strada è aperta ma il cammino è ancora lungo. Image Credit: WILDLIFE GmbH/Alamy Stock Photo
Il governo delle Filippine si sta impegnando per contrastare la pratica della pesca con il cianuro. La strada è aperta ma il cammino è ancora lungo. Image Credit: WILDLIFE GmbH/Alamy Stock Photo

Il test HPLC, una speranza disattesa

Negli ultimi anni poi sembrava che il metodo scoperto e messo a punto nel 2012 dai ricercatori Ricardo Calado e Marcela C.M. Vaz del dipartimento di biologia dell’Università portoghese di Aveiro, e che si basava su una sorta di cromatografia ad alte prestazioni sui liquidi (HPLC – High-Performance Liquid Chromatography) potesse portare finalmente a colmare questa lacuna. Ne avevamo parlato circa un anno fa in questi due articoli che potete andare a rileggere:

Il test prevedeva l’impiego di una sonda a fibra ottica per evidenziare tracce dell’anione tiocianato (SCN), detto anche solfocianuro o rodanato, negli animali esposti al cianuro. Posto che l’SCN è un elemento prodotto dal metabolismo del pesce durante il processo di detossificazione dal cianuro, diventava agevole, una volta accertata la sua presenza, capire se questi fosse venuto o meno a contatto col veleno.

Un metodo facile da utilizzare, economico, sicuro e, cosa più importante, che non richiedesse il sacrificio e quindi la morte dell’animale analizzato. Un metodo che sembrava destinato a rivoluzionare il sistema in quanto avrebbe dotato le autorità dei governi interessati di quello strumento legale indispensabile per inchiodare i commercianti di animali senza scrupoli.

HPLC - I risultati delle misurazioni effettuate dal team di Ricardo Calado e Marcela C.M. Vaz sui pesci acquistati sul mercato delle Filippine. Purtroppo la valenza di questi dati è stata messa in discussione vista la dubbia attendibilità scientifica del metodo di test utilizzato.
I risultati delle misurazioni effettuate dal team di Ricardo Calado e Marcela C.M. Vaz sui pesci acquistati sul mercato delle Filippine. Purtroppo la valenza di questi dati è stata messa in discussione vista la dubbia attendibilità scientifica del metodo di test utilizzato

Quello che si è scoperto successivamente e che purtroppo ha reso vano ogni sforzo fatto finora, è che la quantità di cianuro necessaria per essere rilevata dal test così come concepito, era di oltre 53,6 mg/kg, una dose talmente massiccia che avrebbe causato la morte istantanea di una qualsiasi specie animale presente sulla faccia della terra che l’avesse ingerita. Sembra ironico ma le quantità di cianuro utilizzate per paralizzare e successivamente catturare i pesci erano, fortunatamente, decisamente inferiori e pertanto non rilevabili.

L’articolo continua con gli studi ancora in atto e le speranze per il futuro a pagina due.

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