Esistono varie specie di Zooxantelle e una la Durusdinium potrebbe permettere al corallo di avere una maggiore resistenza allo stress termico e non solo.
Sono passati ben 9 anni (2014) da quando discussi la mia tesi dal titolo “Simbiosi tra Symbiodinium (Dinophyta) e Anthozoa (Cnidaria)” che aveva l’obiettivo di analizzare l’interazione simbiotica tra gli antozoi e i membri del genere Symbiodinium.
Da allora mi ero ripromesso di portare anche qui un approfondimento sulle Zooxantelle e della loro fondamentale relazione simbiotica con i coralli. Ultimamente sono usciti vari articoli scientifici che portano risultati interessanti su questo fondamentale simbionte dei coralli e quindi questa volta ho colto l’occasione per mantenere quella vecchia promessa.
Seguiteci in questo breve viaggio alla scoperta delle Zooxantelle e di una specie specifica, la Durusdinium, che sta attualmente affascinando molti scienziati e sta portando una flebile speranza sulla sopravvivenza delle barriere coralline.
Classificazione
Prima di tutto, senza essere estremamente specifici, vi e ci basta sapere che i “coralli” appartengono alla classe Anthozoa (Ehrenberg, 1831) e afferiscono al Phylum Cnidaria. Le “Zooxantelle” sono alghe unicellulari e appartengono al Genere Symbiodinium, Classe Dinophyceae, Infraphylum Dinoflagellata e Phylum Myzozoa.
Comprendere la Simbiosi alga-corallo
Non vi approfondirò l’aspetto specifico della simbiosi tra corallo e Zooxantelle, in quanto sul nostro portale vi è già un articolo a riguardo che potete leggere qui: La simbiosi fra i coralli e le zooxantellae: cos’è e come funziona.
Vi riporto però in sintesi quelli che erano gli obiettivi della mia tesi:
“Lo studio della simbiosi alga-corallo aiuta a comprendere come tale cooperazione sia essenziale per la sopravvivenza degli Anthozoa, poiché tali organismi sono strettamente dipendenti dai simbionti a essi legati. Le alghe del genere Symbiodinium giocano vari ruoli nei cicli biologici del corallo, dalla costruzione dello scheletro alla nutrizione.
Tale associazione è fortemente sensibile a cambiamenti climatici e ambientali. Studiare l’elasticità del rapporto simbiotico alga-corallo e la loro abilità di adattarsi ai rapidi cambiamenti climatici è una delle più grandi sfide attuali nel campo della biologia marina.
Comprendere quindi gli aspetti biologici sottesi alla relazione simbiotica tra queste alghe e alcuni antozoi rappresenta uno strumento essenziale per pianificare una corretta gestione delle barriere coralline e individuare le modalità più consone al loro risanamento.“
La scoperta delle Zooxantelle o Zooxanthellae
Il termine Simbiosi è stato coniato nel 1879 dal botanico tedesco Anton de Bary e identifica qualsiasi tipo di interazione biologica stretta e a lungo termine tra due diversi organismi biologici, sia essa mutualistica, commensalistica o parassitaria.
Solo due anni dopo che tale termine fu coniato, il biologo marino Andreas Heinrich Karl Brandt si rese conto, mentre studiava degli animali marini, che le piccole sfere ambrate che ne rivestivano i loro tessuti erano delle alghe simbiotiche. Brandt diede a tali alghe il nome di “Zooxanthellae“, che in maniera approssimativa doveva significare “piccola cellula gialla in un animale”.
Nel successivo secolo gli scienziati hanno scoperto che quelle piccole cellule gialle possono arrivare a scambiare fino al 90 per cento del prodotto della loro fotosintesi con i loro ospiti coralli in cambio di molecole inorganiche e protezione.
Da quel momento con il termine Zooxantelle o Zooxanthellae ci si è riferiti a microalghe unicellulari che risiedono comunemente nell’endoderma di cnidari tropicali come i coralli, anemoni marini e meduse. Ma sono anche ospitate da Porifera (spugne), Platyhelminthes (vermi piatti), molluschi come le Tridacne, i foraminiferi e alcuni ciliati.
Sbiancamento
Questa simbiosi però è molto sensibile alle variazioni chimico fisiche dell’ambiente in cui l’ospite vive. Tanto che basta un piccolo aumento della temperatura media dell’acqua che la relazione simbiotica tra le Zooxantelle e il corallo si rompe. In queste condizioni si ha l’espulsione delle alghe unicellulari dai tessuti del corallo, con il conseguente “sbiancamento” di quest’ultimo. Quasi sempre questa situazione, se protratta, porta anche alla sua morte.
Qui su DaniReef abbiamo e ne continueremo a parlare spesso delle conseguenze del cambiamento climatico sulle barriere coralline (potete recuperarli qui). E la ragione per cui ne parliamo tanto è perché le barriere coralline sono tra le prime vittime del cambiamento climatico proprio a causa della rottura della simbiosi alga-corallo.
In uno dei nostri ultimi articoli riguardante un nuovo studio sui cambiamenti climatici, ne portavamo le drammatiche conclusioni che parlano di metà delle barriere coralline globali compromesse dai cambiamenti climatici entro il 2035. (Potete recuperarlo qui).
Nel 2017 in riferimento all’evento di sbiancamento che la la grande barriera corallina australiana stava subendo, su National Geographic usciva una notizia che si intitolava in modo provocatorio: La grande barriera corallina australiana è stata dichiarata morta. Vi invitiamo a recuperare l’articolo dove commentavamo tale notizia (clicca qui).
Symbiodiunium comprende varie specie
Fino a non molti decenni fa si riteneva che Il Symbiodinium comprendesse una singola specie. Solo quando un ricercatore di nome Rob Rowan decise di studiarne il DNA si scopri quello che le caratteristiche fisiche non potevano rivelare, ovvero che ci sono almeno 3 specie (A,B E C) di Symbiodinium con l’aggiunta di una quarta specie denominata inizialmente D che non era molto considerata in quanto estremamente rara. All’epoca della loro scoperta probabilmente costituiva meno del 10 per cento dei simbionti corallini. Molto più numerosi furono i C, alla fine chiamati Cladocopium, che dominavano in tutto il Pacifico e si trovavano in abbondanza uguale ai B, in seguito chiamati Breviolum, in tutti i Caraibi. La A ha mantenuto il nome Symbiodinium.
Ma Durusdinium stava per emergere dall’oscurità.
Nel 1997-1998, a causa del fenomeno climatico chiamato El Niño, fu registrato nei coralli lungo la costa di Panama il primo evento di sbancamento di massa. E proprio da quel primo drammatico evento fu appunto coniato il termine Inglese bleaching (Sbiancamento).
Andrew Baker, un biologo dei coralli che si trovava in quegli anni allo Smithsonian Tropical Research Institute di Panama, era proprio nel posto giusto al momento giusto con le giuste influenze scientifiche per studiare come i coralli cambiano quando la temperatura media dell’acqua aumenta. Ve la faccio breve, non solo scoprì che i coralli che avevano come simbionte l’alga denominata D, chiamata successivamente Durusdinium, non sbiancavano. Ma che dopo tale evento i coralli che avevano tale simbionte sono diventati più comuni.
Ulteriori ricerche di Baker nell’Oceano Indiano e nel Mar Rosso, confermano che, come a Panama, il Durusdinium dominava dove le acque erano mediamente più calde.
La conclusione: Durusdinium era terribilmente tollerante allo stress termico.
A pagina due continuiamo a discutere del bleaching e della Durusdinium con importanti risvolti per il futuro.